Prima di iniziare a scrivere questo pezzo stavo cercando in
un libro una citazione. Aggiungo in maniera posticcia anche uno SPOILER ALLERT
Mentre vedevo la prima puntata di Philipp K. Dick’s Electric
Dreams mi sono venuti un turbine di pensieri, fra gli altri un aneddoto su Dick
che trovo fenomenale. Un giorno il buon Dick decide di suicidarsi, e prende una
quantità assurda di pillole, pasticche o chissàche; normalmente la morte è
garantita se azzecchi la dose, o se approssimi per eccesso, e, non ho idea di quello che succeda nello
specifico, però immagino una specie di attesa, snervante forse, forse invece
vuota o piena di soddisfazione chissà, qualcosa come i pensieri di chi si è
buttato da un palazzo altissimo durante la caduta, ma molto più lento. Ora
ovviamente per individui speciali e particolari come Dick le regole normali non
si applicano, quindi che succede? Succede che Dick in quel tempo in cui si
dovrebbe aspettare la morte decide di mangiarsi una torta (o la trova? Non mi
ricordo) e visto che tanto deve morire decide di mangiarsela tutta intera,
subito subito. La torta ovviamente gli va di traverso e gli fa vomitare tutto,
pillole comprese, e Dick si salva.
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| Non so bene come immaginarla, sicuramente NON-leggera |
Ora, i miei ricordi di questo aneddoto sono questi che vi ho
scritto, ed ero convinto di aver letto la storiella in un libro che raccoglie
tutte le introduzioni che Jonathan Lethem ha scritto per i libri di Dick: Crazy
Friend. Poi però, mentre cercavo la citazione sfogliando il libro senza
trovarla, mi sono ricordato che forse l’aneddoto mi era stato raccontato da un
amico, quello che mi prestò il libro e a cui dovrò riportarlo prima o poi. Man
mano che cercavo, i ricordi dell’aneddoto si facevano più confusi, do stava sta
torta? Quali erano i moventi di Dick nel mangiarla, solo gola? Cosa c’era di
profondo nell’aneddoto, una certa strana morale zen sulla morte o
qualcos’altro? Più cercavo di afferrare un ricordo preciso e più questo mi
sfuggiva. Conteporaneamente a questo processo di sfocamento (qual è il
contrario di messa a fuoco?) del ricordo, c’erano invece due ricordi che si
facevano sempre più nitidi, uno era quello di me sdraiato sul letto in camera
mia che leggevo l’aneddoto sul libro prima di dormire, l’altro era quello di me
seduto davanti al mio amico a casa sua mentre me lo raccontava. In entrambi i
ricordi era la prima volta che sentivo l’aneddoto, nella mia testa c’erano gli
stessi pensieri. Quanto è dickiano tutto questo?
Tantissimo, tant’è vero che ho deciso di smettere di cercare
la citazione del libro sul libro e iniziare a scrivere. In tutti i racconti di
Dick, in tutti i suoi romanzi, la cosa che trovo più bella è proprio questa
concezione della realtà. Qualcuno potrebbe interpretare i racconti di Dick come
una specie di monito, un modo per comunicare al mondo quanto sia pericoloso
perdere il senso di quale sia la realtà, di quanto possano essere pericolosi ed
influenti la finzione, l’allucinazione, il sogno per la realtà. Niente di più sbagliato,
quello è Nolan semmai. Badate bene di non fraintendermi, noi gli vogliamo bene
a Nolan per questo, ma Nolan e Dick non sono proprio la stessa cosa. Nolan è
uno scettico, i film di Nolan, come gli esempi che fa Cartesio nelle
Meditazioni Filosofiche, sono degli esperimenti teoretici, sono un monito, sono
lo strumento di una coscienza cauta che, attraverso la sospensione del
giudizio, o persino attraverso il dubbio radicale (pensate al genio maligno,
pensate alla trottola che non si ferma) ottiene una presa più sicura sul-di-sé.
Ma gli scettici, e questo è indiscutibile, continuano tutti ad uscire dalla
porta. Dick non credo che sia sempre uscito dalla porta. Dick non è uno
scettico, Dick è un mistico, è un pazzo, è un posseduto, Dick è un ossesso.
Dick non ci vuole mettere in guardia su quanto sia facile costruire finzione sulla
realtà, non se lo può proprio permettere un discorso così, Dick non lo sa quale
sia la realtà. Questa certezza che gli manca non è frutto di un metodo, non è
lo strumento teoretico affinato in anni di riflessione, Dick non ha la più
pallida idea di quale sia la realtà e questa cosa lo fa soffrire.
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| Il volto calmo e grave della ragione |
Ed ancora e di più, Dick non scrive moniti perché non parla
a noi. I suoi non sono elaborati costrutti narrativi che vogliono causare uno
smarrimento nel lettore, spingerlo a mettere in questione le sue granitiche
convinzioni sulla realtà. Dick sta male, è confuso, è paranoico e scrive libri
per campare. I libri di Dick sono emanazione del loro autore, non una sua
espressione. Letham nella quarta di copertina del suo libro la dice così:
“Leggere Dick è innanzi tutto un’esperienza disorientante, che però può essere
profondamente rigenerante, perché abbiamo a che fare con uno scrittore che si è
dedicato in maniera intrepida, e perfino abbastanza gioiosa, al compito di
affrontare la folle incoerenza del nostro essere umani”. Sono quasi
perfettamente d’accordo, l’unica nota che mi stona è quel si è dedicato, è un modo di dirla un po’ troppo volitivo, troppo
volontario, come se Dick avesse la minima scelta, non credo che l’avesse. È
davvero uno scrittore intrepido e gioioso, disorientante e rigenerante, ma io
direi che Dick è lo scrittore che più si è abbandonato
al compito di affrontare la folle incoerenza dell’essere umani. Il compito di
Dick non è quello di Dante, che scende all’inferno per tornare a descriverlo a
noi mortali, non è nemmeno il compito di Platone, che uscito dalla caverna vede
finalmente il sole vero, la vera luce, e torna intrepido dentro per spiegarci
come tutto quello che vediamo non siano che ombre. Dick vive nelle ombre, vive
all’inferno, e lo affronta con gioia e con spirito intrepido, Dick non è mai
uscito da niente per raccontare.
Spero di essere riuscito almeno in parte a scrivervi il
turbine di pensieri che passava per la mia testa mentre vedevo Real Life, che su Amazon Prime è la
prima puntata di Philip K. Dick’s Electric Dreams. C’è forse ancora da dire
qualcosa, visto che ho parlato solo di Dick, e non della puntata. Lo spirito è
quello giusto, l’atmosfera è la stessa. Si è di fronte davvero ad un’opera di
Dick quando si guarda questo stupendo pilot. La storia è semplice, in una
futuribile città con macchine volanti e strani schermi touch, una detective
lesbica molto stressata e che vive con fatica una pesante sindrome del
sopravvissuto condivide parte della sua coscienza con un ricco programmatore
nero, che però in realtà esiste solo come esperienza virtuale che lei vive
grazie ad un dispositivo nel sonno. La storia è semplice, in una città dei
giorni nostri un ricco programmatore nero recentemente ricattato da un
non-meglio-identificato delinquente che gli ha ucciso la moglie vive con
difficoltà il suo lutto, per fuggire dalla realtà usa un dispositivo che nel
sonno gli permettere di vivere con la moglie ancora viva la vita di una
detective lesbica in una città del futuro.
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| Ci sono modi peggiori di immaginarsi effettivamente... |
Date questo canovaccio ai fratelli Nolan (prima ho parlato
al singolare, ma è un errore, ma ne riparleremo un’altra volta delle mie teorie
sui fratelli Nolan) e vi verrà fuori un meraviglioso film sul dubbio radicale.
Saranno attentissimi, un fratello con la penna e l’altro con la macchina da
presa, a non darvi nessun indizio su quale sia la vera Realtà, su quale delle
due vite sia real life e quale invece soltanto un electric dream, un film del
tutto aporetico, che fino all'ultimo vi spingerà alla riflessione e al dubbio,
un gioiellino! Io adorerei un film così eh, badate bene, ma Dick non è così.
Nel finale si capisce perfettamente che il programmatore era solo un sogno, e
che invece la detective era la vita reale. Qual è il problema? Che dopo che da
entrambe le parti i cari e gli amici hanno provato a convincere le due
personalità che la loro altra vita fosse solo un sogno, a essere davvero
convinto per primo è il programmatore, lui romperà il dispositivo facendo
cadere il suo vero corpo in un coma di espiazione e sofferenza. E detta così
sembra più bello il film che farebbero i Nolan, questa versione sembra più
banale, più scioccamente pessimista e davvero poco interessante, tipo Verga.
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| La rivelazione finale, per me, inequivocabile. |
Invece a rendere perfettamente lo spirito di Dick sono i dialoghi che avvengono nella vita del sogno: ad un confuso Terence Howard che dice dell’altra vita "I swear it feels right, it feels true” una ottima Laura Pulver amica e dottoressa
risponde “But it’s not, hey trust me, you’re not really a lesbian supercop in
the future in a flying car” Sentite quanto è razionale? Sentite quanto è facile
darle ragione, quanto sia evidente che lei stia dicendo il giusto? Ma ancora:
Quando finalmente il personaggio di Terence ha capito che la sua vita è solo
finzione ed è intenzionato a restituirla alla mente che lo ha creato il
personaggio di Laura lo spinge ancora a pensarci meglio “Think about this for a
moment, one of these worlds is a fantasy drawn from your own mind, wich is more
likely? A fantasy where you’re hearthbroken, becose your wife has been brutally
murdered, or a fantasy where you’re happy and everything is perfect because
your wife is still alive?” Eh? Quale delle due è la più probabile? Come si fa a
darle torto?
Peccato che abbia doppiamente torto, per prima cosa il mondo vero
era quell'altro, e poi nella realtà non è tutto perfetto, la detective lesbica
è così miserabile nella sua vita attuale che è arrivata a rinchiudersi in un
mondo creato da lei per essere peggiore di quello che vive e che sente di non
meritare, l’unica cosa “right and true” della sua vita, cioè l’amore per sua
moglie, sarà lo strumento che il suo inconscio userà per fotterla, per
convincerla aldilà di ogni dubbio a rinchiudersi in quell'inferno. Se notate il
procedimento è esattamente l’opposto di quello di Cartesio. In Cartesio il
dubbio radicale, lo scetticismo radicale, la sospensione assoluta del mondo è
la mirabile tecnica con cui fa sopravvivere l’Io a se stesso, in Cartesio
l’Ego, l’Io, la coscienza, l’identità si dicono residuali e performativi,
attraverso la propria autodistruzione avanzano,
riemergono più forti. In Dick la coscienza è divisa, in lotta, e quando si
rivolge contro se stessa la sua forza non le permette di resistersi e farsi
riemergere più forte, ma è solo garanzia della propria distruzione. Ti conosci
troppo bene, se vuoi puoi sempre riuscire a fregare te stesso, convincendoti di
esistere anche se non è vero. Proprio perché pensi.





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